mercoledì 9 marzo 2011

Caffè Carbonelli e il Museo Madre. "Qui o si rifà l'arte o si muore"

Nel sito internet istituzionale della Torrefazione Carbonelli, da ormai cinque anni è presente la pagina statica “Arte e Caffè Carbonelli”. Dove spiego la nostra idea di lavorare come un FARE ARTE. Lavorare con passione. Essere il proprio prodotto.

Quando poco meno di un anno fa riuscivo a chiudere l’accordo che ci avrebbe visto partner dell’iniziativa “Un Caffè al Madre”, che ha avuto un notevole successo per tutta la stagione estiva 2010, beh, ne sono stato orgoglioso. Fiero. Era come aver raggiunto un traguardo. Per la serie “ah, finalmente un FATTO che testimoni la verità del pensiero di Caffè Carbonelli come Arte.

Premetto che la gestione della caffetteria del museo madre è di una società esterna, ma sticazzi, pensai. Se il mio Brand è all’altezza di essere esposto in un luogo come il Museo Madre, vuol dire che stiamo lavorando bene. E stavamo lavorando bene! E durante la rassegna estiva ne arrivavano di complimenti per la qualità del caffè, per l’immagine che siamo riusciti ad abbinare all’arte.

Al museo madre ci andavo prima di stipulare l’accordo, credo almeno una volta a bimestre. Ci lavoravano amici, andavo a vedere le opere di artisti contemporanei, che guardavo e riguardavo, ma che non riuscivo mai a capire nella loro arte, ma non me ne fregava, perché poi giravi lo sguardo e ti ritrovavi dinanzi a un Wharol, o a un Rauschenberg. Rimasi incantato con su un sorriso malefico di fronte a “la vendere degli stracci” di Pistoletto. Mi persi d’avanti alle opere di Alighiero Boetti: “scrivere con la mano sinistra è disegnare”. Cazzo, non ci dormii una notte intera dietro a quella frase.

L’arte. Amavo, amo l’arte, dargli la mia interpretazione. E l’estate scorsa io avevo reso il mio caffè il Caffè dell’arte.

Oggi ho letto la notizia che ottantasei di centoquattro opere esposte al madre saranno presto ritirate. Alcune per esplicita richiesta degli autori o dei proprietari delle collezioni.

Oggi sono triste. Un po’ incazzato con quegli artisti. Tremendamente incazzato con la nostra Regione. Ma se non si salva un Museo d’arte, allora come possiamo sperare che cambino altre cose?

Ora vorrei lanciare un messaggio al sig. Pistoletto: Caro sig. Pistoletto, del quale ho conosciuto il viso proprio ieri in un’intervista rai, il cappello le dona, le dà un’aria ancor più come dire, da artista. Installi la sua “venere degli stracci” nel bel mezzo del quadrivio di Secondigliano. Portiamo l’arte in strada. Sfidiamo tutti. Se muore l’arte moriamo tutti.

In questi giorni si porta avanti una straordinaria iniziativa di Working Capital che recluta “i nuovi mille” per un progetto dal nome “qui si rifà l’Italia”, dove alla fine verrà finanziato un progetto scelto tra i mille innovatori che ne presenteranno uno. Sul numero di marzo di Wired, in copertina c’è Roberto Saviano ad appoggiare l’iniziativa, e che se ne fa promotore, il quale dice “la rivoluzione si fa parlando, con le persone perbene, di destra e di sinistra. Questo voglio fare ora.” Quanto amo il verbo FARE.

Ora invito lei sig. Pistoletto, a farsi promotore della vita dell’arte. Saviano conosce bene Secondigliano, come me. Le cronache dicono che spesso qui si muore. La vita è arte. L’arte è vita. Proviamoci. Portiamo avanti un nuovo progetto. Non occorreranno i nuovi mille anche per l’arte, ma semplicemente dei fondi provenienti da qualsivoglia istituzione. E se gli artisti, anziché fare la voce grossa contro la chiusura del museo che è casa loro, le ritirano le opere dal museo, allora non muore solo il museo, ma l’arte.

Scendiamo in piazza per il Museo Madre. Scendiamo in piazza per l’ Arte. Da secondigliano. “Qui o si rifà l’arte o l’arte muore”.

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